Il Cinema

Grandi film internazionali

Il cappotto - 1952

Anno di produzione: 1952 
Regia: A. Lattuada 
Soggetto: N. Gogol 
Sceneggiatura: C. Zavattini, G. Prosperi, A. Lattuada, G. Corsi, L. Malerba, E. Curreli 
Interpreti: R. Rascel, Y. Sanson, G. Stival, G. Calì, E. G. Mattia, A. Lualdi, S. Somaré, C. Olinto
Produzione: Titanus, Faro Film
Distribuzione (Italia) Titanus
Fotografia Mario Montuori
Montaggio Eraldo Da Roma
Musiche Felice Lattuada
Scenografia Gianni Polidori
Costumi Dario Cecchi

Il cappotto è un film del 1952 diretto da Alberto Lattuada, tratto da un racconto di Nikolaj Gogol ed interpretato, in un ruolo insolitamente drammatico, da Renato Rascel.

Il cappotto è tratto dall'omonimo racconto di Gogol pubblicato nel 1842. Lattuada così spiegò la sua scelta: «Mi sono rivolto ad uno scrittore classico russo perché i caratteri del suo racconto sono caratteri universali ed esemplari e quindi i valori della storia raccontata da Gogol sono validi in qualunque parte del mondo ed in qualunque tempo [cioè] la tirannia e la cecità burocratica».

La sceneggiatura presenta alcune modifiche rispetto al racconto, anche se non essenziali secondo Lattuada: «Al testo originale, per necessità di condotta spettacolare, sono state apportate molte modifiche: una idea nuova aggiunta è quella del funerale dell'impiegato. Nella riduzione cinematografica l'accento non è caduto sul facile trucco di esibire il fantasma del protagonista (ma) lo sforzo costante è stato quello di essere fedelissimo allo spirito del racconto, non smentirne mai il tono semplice, dimesso ed umanissimo, rispettare gli snodi fondamentali della storia».

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Trama

Pavia, anni '30. Lo scrivano Carmine De Carmine, impiegato presso il Comune, conduce una vita assai modesta. Abita in una camera a pensione; lavora con impegno e diligenza, ma viene continuamente mortificato dal Segretario generale del Comune e dal Sindaco, un ambizioso e corrotto politicante, nonché marito infedele. Col suo magro stipendio non riesce a comprare il cappotto nuovo di cui avrebbe bisogno. Un giorno una donna bella ed elegante, ritenendolo un mendicante, gli dona una discreta somma e con quella Carmine riesce finalmente ad ordinare ad un sarto un cappotto su misura, con bavero di pelliccia. I soldi non sono del tutto sufficienti, ma bastano per un acconto.

Sul lavoro, Carmine assiste per caso ad un colloquio compromettente in cui degli imprenditori promettono una tangente al Segretario, e costui per tenerselo buono, gli promette un cospicuo premio di produttività. Intanto il cappotto è pronto e gli sta a pennello e Carmine lo indossa con soddisfazione, passeggiando per tutta la città (seguito a distanza dal sarto, orgogliosissimo del suo lavoro). A Capodanno, sempre indossando il suo prezioso acquisto, si reca al ricevimento organizzato dal Segretario generale. Lì, rivede la stessa bellissima signora che gli aveva regalato il denaro e che è in realtà l'amante del Sindaco, anche se Carmine non lo sa. Alticcio per i numerosi brindisi, fa un discorso a favore dei poveracci, accolto con molta freddezza dai partecipanti. Poi, prima di andare via, fa un giro di valzer con la bella donna.

Dopo la festa, Carmine si avvia verso casa ed adesso finalmente si sente un uomo realizzato, ma strada facendo viene aggredito da un vagabondo che lo deruba del cappotto. Disperato, chiede aiuto ma si trova di fronte all'indifferenza della gente (vigili, poliziotti, funzionari comunali) e soprattutto del Sindaco, che si rifiuta di aiutarlo. Avvilito e disperato, Carmine patisce un esaurimento nervoso che lo debilita fino alla morte.

Giulio Stival (il Sindaco) e Renato Rascel (Carmine De Carmine) in una scena del film

Renato Rascel e Giulio Calì (il sarto).
Solo dopo morto Carmine riuscirà finalmente a prevalere: disturba con il suo funerale una pomposa cerimonia pubblica officiata dal Sindaco; poi ritorna come fantasma per le strade della città a reclamare giustizia, terrorizzando i cittadini con la sua voce e divertendosi a spogliarli dei loro soprabiti nelle fredde e nebbiose serate d'inverno. In seguito, si reca a casa dell'amante del Sindaco per disturbare la loro intimità. Ed infine, appare al Sindaco e lo spaventa, fino a spingerlo ad un tardivo pentimento.

Curiosità

Nel 1995 il Museo nazionale del Cinema di Torino, presso il quale era custodito il nitrato originale della pellicola, ha proceduto al restauro del film per garantirne la conservazione. Questo intervento è stato sostenuto finanziariamente dalla "Associazione Philip Morris progetto Cinema".
In occasione del restauro della pellicola, queste due istituzioni hanno anche curato la pubblicazione, presso l'editore Lindau, di una monografia, curata dal critico Lino Micciché, con lo stesso titolo del film, nella quale sono contenuti numerosi interventi e memorie di coloro che, ad iniziare da Alberto Lattuada, lavorarono, in diversi ruoli, per la realizzazione dell'opera.

Rascel e la sua interpretazione drammatica

Il cappotto si basa sull'intensa prova drammatica di Renato Rascel, che rappresentò una sorpresa, trattandosi di un attore che proveniva dal mondo della rivista leggera. A seguito di una visita al "set" di Pavia, mentre il film era in lavorazione, Ezio Colombo diede corpo a queste riserve definendolo «uno strano attore di rivista, giunto allo schermo attraverso la porta meno nobile del nostro cinema, con la fioritura delle cosiddette pellicole comiche, la cui ricetta è composta dalla carne di una qualsiasi Pampanini, [anche se] sugli altri comici Rascel ha un apprezzabile vantaggio, di non ricorrere mai al colpo basso della volgarità pornografica».

Inizialmente Lattuada pensa a Totò, ma scarta l'idea perché «non è sicuro di poterlo domare, controllare, di riuscire a modificare il suo personaggio, ormai troppo definito e troppo amato, così com'era, dal pubblico. (mentre) la tiritera ingarbugliata, labirintica per cui Rascel andava famoso si attagliano perfettamente al personaggio che egli deve interpretare». Curiosamente lo stesso Rascel raccontò di essere stato vittima, durante uno spettacolo teatrale cui prendeva parte in quel periodo, del furto di un cappotto nuovo.

«Ho voluto io Rascel – ha scritto Lattuada molti anni dopo - perché aveva l'aria di un topolino furbo, per questo ho deciso di provarlo con un paio di baffetti (…) il mio modello, nell'usarlo come attore comico, era un po' Chaplin, ma soprattutto Buster Keaton[3]. Ma sarà soprattutto il richiamo a Chaplin ad essere poi evocato da numerosi commentatori. Secondo Ettore Zocaro, «Lattuada lo chiamò intuendo le sue possibilità drammatiche. (…) Il successo filmico fu confortato dagli applausi di Cannes e dagli elogi della maggior parte della critica, che lo salutò come una rivelazione definendolo "creatura charlottiana", un "Candido" della nostra era che si aggira alla maniera di un eroe di Cervantes.».

Alberto Lattuada e Renato Rascel al festival di Cannes del 1952
Dopo aver sfiorato la premiazione a Cannes, l'interpretazione di Rascel ebbe il riconoscimento del "Nastro d'argento" quale miglior protagonista nella stagione 1952-1953 con la motivazione della «estrosa collaborazione data al regista Alberto Lattuada nel comporre il personaggio principale del film Il cappotto». Sull'onda delle lodi ricevute, Rascel volle riproporre l'anno successivo un altro personaggio gogoliano dirigendo se stesso ne La passeggiata, ma senza riuscire a replicare il successo de Il cappotto e quella restò la sua unica prova registica.

Interpreti

Renato Rascel: Carmine De Carmine
Giulio Stival: il sindaco
Yvonne Sanson: Caterina, amante del sindaco
Antonella Lualdi: Vittoria
Ettore G. Mattia: Il segretario comunale
Sandro Somaré: il fidanzato di Vittoria
Nino Marchetti: un impiegato
Loris Gizzi: un costruttore
Silvio Bagolini: ambulante con il carretto
Claudio Ermelli: il fotografo
Giulio Calì: il sarto
Anna Carena: la padrona di casa
Gondrano Trucchi: coinquilino di Carmine
Alfredo Ragusa: l'usciere

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